L’EVITAMENTO COME “FALSA” PROTEZIONE. 2 STRATEGIE PER LIBERARSENE

L’evitamento si verifica quando si decide di non voler vivere determinate esperienze interne o esterne come sensazioni corporee, emozioni, pensieri, luoghi, persone. L’evitamento rientra nella lista dei “comportamenti protettivi” che mantengono e rafforzano difficoltà di natura psicologica.

Evitamento adattivo ed evitamento dannoso

L’evitamento è adattivo quando protegge da un pericolo reale. Facciamo un esempio: evitare di passeggiare di notte, da soli in una strada buia e periferica è sicuramente un’azione di buon senso. Allo stesso modo, può essere adattivo, per la salute interiore di un medico che lavora in pronto soccorso, evitare di pensare in ogni momento alle situazioni di emergenza che incontra ogni giorno.
L’evitamento è dannoso quando viene messo in atto in assenza di una minaccia o pericolo reali. Generalmente chi soffre di un disturbo d’ansia tende ad evitare luoghi, persone o situazioni in cui immagina di poter vivere ansia. In questo caso l’ansia è vissuta come minacciosa e la paura di poterla sperimentare spinge ad evitare tutte le situazioni in cui potenzialmente potrebbe innescarsi. Le persone depresse tendono ad evitare le situazioni sociali nel tentativo di far fronte ai sentimenti depressivi smettendo di frequentare gli amici, riducendo i contatti con le persone care nel timore di essere irritabili con loro, cessando di andare regolarmente al lavoro per l’imbarazzo di commettere errori. Un’altra forma dannosa di evitamento riguarda l’allontanamento dalle situazioni sociali nel timore di vivere imbarazzo e vergogna. In questi casi la paura è quella di poter dire o fare cose inadeguate, commettere errori, essere criticati o giudicati negativamente.

Conseguenze dell’evitamento

Quando l’evitamento è dannoso ha conseguenze negative sia a livello personale che sociale. Vediamole. – Produce sollievo nel breve termine, ma nel lungo termine aumenta la paura nei confronti dello stimolo evitato (interno o esterno che sia). Più si evitano le situazioni che spaventano, più si avrà paura di trovarsi proprio in quelle situazioni. Per esempio evitare di prendere l’ascensore produce un sollievo immediato, ma non aiuta a superare la paura dei luoghi chiusi una volta per tutte.
– Impoverisce le esperienze di vita. L’inattività e il ritiro sociale sono spesso tentativi di far fronte ai sentimenti depressivi, oppure risultano protettivi rispetto a situazioni dove si teme di poter sperimentare ansia. Evitare le situazioni sociali può anche essere un espediente per non entrare in contatto con gli altri laddove si vivono sentimenti di inadeguatezza, imbarazzo o vergogna. Se il tentativo di sentirsi meglio sortisce un beneficio immediato pian piano si riducono le sollecitazioni positive che provengono dagli altri e dalla vita in generale. Di conseguenza aumentano l’isolamento e la fatica. – Riduce la presenza di supporto. L’isolamento dagli altri limita la possibilità di ricevere sostegno e supporto da parte degli altri, proprio in un momento in cui probabilmente se ne avrebbe maggior bisogno.
– Mina l’autostima e l’autoefficacia. L’evitamento fa credere di non essere in grado di far fronte ad eventi spiacevoli e disturbanti. Più si evita più ci si convince di non essere in grado di farcela. Affrontare le situazioni temute fa sentire gratificati e aumenta la percezione di autoefficacia. Generalmente le persone che mettono in atto evitamenti sottovalutano le proprie capacità di fronteggiamento.
– Aumenta il senso di colpa. Evitare di frequentare gli amici e le persone care potrebbe a lungo andare produrre sensi di colpa per il fatto di non dedicare agli altri abbastanza tempo. Allo stesso modo è possibile che gli evitamenti di luoghi e situazioni coinvolgano il partner e i figli generando sensi di colpa nei loro confronti. Mi è capitato di seguire una donna, mamma di due bambini di 4 e 7 anni, che a causa dell’ansia che sperimentava in alcune situazioni evitava di accompagnare i figli alle feste di compleanno degli amichetti. Il suo senso di colpa era così forte da renderla spesso avvilita e depressa.
Per liberarsi dell’evitamento è possibile utilizzare alcune strategie. Di seguito vediamone due tratte dalla Terapia Cognitivo Comportamentale.

1. Accettare anziché evitare

L’accettazione è la disponibilità a vivere sia emotivamente che attraverso un impegno all’azione le esperienze di vita. La premessa per deviare le proprie strategie di evitamento è essere disposti a vivere ciò la realtà pone davanti sapendo di poter accettare stati d’animo spiacevoli, emozioni di disagio, luoghi che fanno paura, ecc. Se vogliamo, per esempio, che la nostra ansia diminuisca la prima cosa da fare è iniziare a non considerarla pericolosa, accettarla e predisporsi a viverla. D’altra parte aver evitato l’ansia e alcune situazioni considerate “pericolose” può averci portato a perderne familiarità. Perciò è importante riacquisire fiducia in se stessi e nelle proprie capacità di “stare” nelle situazioni e di “stare” con le proprie emozioni.

2. Esporsi alle situazioni temute attraverso l’esposizione graduale

Il modo migliore per sconfiggere la paura è decidere di affrontarla, ossia esporsi pian piano alle situazioni che si temono. Per poterlo fare è possibile organizzare gerarchicamente vere e proprie sessioni di esposizione partendo dalla situazione più semplice da affrontare fino a quella più dura. Facciamo un esempio. Se la mia paura è quella di prendere l’ascensore fino all’ottavo piano posso organizzare sessioni di esposizione di un piano alla volta il primo giorno, due piani il secondo giorno, tre piani il terzo giorno e così via. Quando si affrontano le paure è importante pianificare esposizioni fattibili, in modo da riuscire a confrontarsi con la situazione e gestirla. Lo scopo del lavoro di esposizione è dimostrare a se stessi che si può tollerare il disagio associato alla paura.