DORMIRE CON I PROPRI FIGLI. LE TEORIE A FAVORE DEL SONNO CONDIVISO

Nei due precedenti articoli dedicati ai metodi per la nanna ho presentato il metodo di Tracy Hogg, conosciuto anche come pick up/put down, ossia tira su/ metti giù e quello di Estivill sull’estinzione graduale del pianto. L’approfondimento di questa tematica mi porta ora a trattare le teorie sostenitrici del sonno condiviso. Gli autori che si sono occupati di studiare e sostenere l’importanza di dormire insieme ai propri figli sono diversi. Tra questi i maggiori esponenti sono: William Sears, James McKenna, Carlos Gonzales. Questi autori ci tengono a sottolineare che non esistono metodi per insegnare ai bambini a fare la nanna, ma che ciò che conta sono i bisogni del bambino, il rispetto di questi e la volontà delle madri di poter seguire liberamente il proprio istinto di protezione e di accudimento, secondo uno stile prossimale e ad alto contatto.
La premessa da cui partono è più o meno questa: l’essere umano, così come la maggior parte dei mammiferi, è portato a condividere il sonno con il proprio genitore fin dai tempi delle caverne in cui la vicinanza del bambino alla madre garantiva al piccolo una protezione contro le insidie dell’ambiente esterno. Perciò, il bisogno di prossimità fisica nasce dalla necessità di sopravvivenza della specie.

Il sonno condiviso come bisogno fisiologico

Secondo McKenna le “aspettative biologiche” del neonato, rispetto alle sue esperienze di sonno, sono in contrasto con le nostre “aspettative culturali”. Le sue ricerche dimostrano un’immaturità neurologica dei cuccioli umani alla nascita, rispetto ad altre specie di mammiferi. Il che significherebbe, per l’autore, che condividere il sonno è una decisione fisiologica legata alla necessità di ricevere cure costanti e prossimali. Inoltre, il neonato ha l’esigenza di nutrirsi in modo quasi continuo sia di giorno che di notte e ciò dovrebbe suggerire la necessità di una stretta vicinanza tra madre e bambino, motivo per cui dormire insieme favorirebbe l’allattamento. Secondo il dottor McKenna i “problemi di sonno” dei bambini, sono legati alla separazione del bambino dalla madre e perciò al tentativo del piccolo di recuperare e assicurarsi la vicinanza del genitore.

I vantaggi del sonno condiviso

Secondo Sears (cit. in Bartolotti, 2017) condividere il sonno ha innumerevoli effetti protettivi e svolge un’azione preventiva anche rispetto alla SIDS poichè favorisce: • Una maggiore protezione immunologica: il sonno condiviso comporta un aumento delle poppate notturne e perciò un maggior apporto di sostanze presenti nel latte materno che rinforzano le difese immunitarie del bambino.
• Una maggiore possibilità della madre di svegliarsi: l’aumento di prolattina nella madre, altamente stimolata dall’allattamento notturno, determina un innalzamento della sua sensibilità nei confronti del bambino.
• L’armonizzazione del respiro e del tatto tra madre e bambino: dormire insieme favorisce un respiro simultaneo il quale “educa” il bambino a respirare sempre.
• Una maggiore quantità di sonno REM nei bambini: il sonno condiviso porta i bambini a trascorre una maggiore quantità di sonno in fase REM, che rappresenta la fase di sonno più leggera e più attiva la quale garantisce al bambino una maggiore possibilità di svegliarsi in caso di difficoltà respiratorie, per esempio.
• Una maggiore regolazione termica: il calore del corpo del genitore a contatto con il bambino lo aiuta a regolare la temperatura e la respirazione che diminuisce con il freddo.

Consigli per un sonno sicuro

James Mc Kenna offre alcune indicazioni (“Safe Cosleeping Guidelines”) da seguire per garantire un sonno sicuro al proprio bambino.

Norme di carattere generale

1. Un primo fattore a garanzia di un sonno sicuro inizia già con una sana gestazione. A riguardo è per esempio importante che il feto non sia esposto al fumo materno durante la gravidanza.
2. Un secondo importante fattore protettivo è l‘allattamento al seno. L’allattamento al seno contribuisce notevolmente a proteggere i neonati dalla morte per SIDS.
3. Indipendentemente da dove si decida che il neonato dorma, tutti i neonati dovrebbero sempre dormire supini, su materassi ben fissati e puliti, in assenza di fumo e senza che le testa venga coperta.
4. Nel letto dove dorme il neonato non ci dovrebbero essere pupazzi o cuscini. Sono assolutamente da evitare materassi troppo morbidi o addirittura ad acqua.

Norme legate alla condivisione del letto

Rispetto alla volontà del genitore di condividere il letto con il proprio figlio McKenna sottolinea che i letti per gli adulti non sono stati progettati per garantire la sicurezza dei neonati. Detto ciò enuncia una serie di norme di sicurezza da rispettare se si decide di dormire insieme al proprio piccolo. • I bambini allattati artificialmente dovrebbero dormire accanto alla mamma, ma in letti separati.
• È bene che entrambi i genitori siano d’accordo e consapevoli rispetto alla scelta di dormire con il proprio figlio
• L’adulto deve essere consapevole del fatto che c’è un neonato all’interno del proprio letto. Perciò non si dovrebbe mai porre un piccolo nel letto senza che l’adulto se ne accorga.
• I neonati di un anno o meno, non dovrebbero dormire con fratelli più piccoli o più grandi.
• Il bambino non dovrebbe dormire con persone che prendono sedativi, farmaci, droghe, che hanno abusato di alcool o di altre sostanze.
• Se la madre ha i capelli molto lunghi dovrebbe legarli per impedire che si possano attorcigliare intorno al collo del neonato (pare che questo sia accaduto).
• È bene che il neonato non dorma accanto a persone obese.
• L’immagine che viene riportata all’interno dell’articolo è questa. Sembra dare chiare indicazioni su come dovrebbe essere posizionato un neonato perchè possa dormire con i genitori in sicurezza.

Osservazioni

In questo articolo ho cercato di fare una sintesi di queste teorie, rifacendomi a fonti da cui ho tratto gli aspetti più operativi, affinchè il genitore interessato ad optare per questa scelta lo possa fare nel modo più informato e consapevole possibile. Personalmente non offrirò un punto di vista rispetto alla decisione di dormire o meno con i propri figli, in quanto credo che ogni famiglia possa scegliere liberamente la situazione che ritiene più adatta al proprio stile di vita e ai propri valori. Ci tengo però ad offrire le mie osservazioni, sperando che possano essere occasione di riflessione. • Condivido le norme di sicurezza esposte dagli autori. Peraltro queste stesse norme sono condivise dalla maggior parte della comunità scientifica che si occupa di sonno dei bambini.
• Questa stessa comunità scientifica offre però pareri discordanti rispetto a dove sia opportuno che il bambino dorma per prevenire la SIDS. Alcune linee guida, in merito, si sono espresse diversamente. Riporto alcuni riferimenti consultabili cliccando sul link: Linee guida della Croce Rossa Italiana ; Raccomandazioni del centro Mayer di Firenze per la riduzione del rischio di Sindrome della Morte Improvvisa del Lattante e per un sonno sicuro nel primo anno di vita; Raccomandazioni riportate sul sito del Ministero della Salute
• Ritengo che uno degli aspetti più importanti messi in evidenza da questi autori riguardi il bisogno di vicinanza e di contatto del bambino. D’altra parte penso che questo bisogno possa essere soddisfatto attraverso una situazione di vicinanza notturna non necessariamente coincidente con il dormire nello stesso letto. Soluzioni come il side-bed (si tratta di un lettino, aperto da un lato, posto accanto al letto del genitore), per esempio, permettono di creare continuità tra i due letti, quello del genitore e quello del bambino, lasciando però che il piccolo conservi il proprio spazio di sonno. La scelta di un lettino di questo genere garantisce vicinanza, contatto e favorisce l’allattamento notturno.
• La condivisone del letto tra bambino e genitore sembra influire sul sonno del piccolo, dato che, come detto precedentemente, le ricerche hanno evidenziato che i bambini che dormono con il genitore trascorrono maggior tempo nella fase REM e perciò in una fase di sonno leggero che porterebbe il piccolo a risvegli più frequenti. Per quanto questo aspetto possa essere funzionale alla “sopravvivenza”, d’altro canto sembra anche interferire con il sonno del piccolo, condizionandone i risvegli.
• Le ricerche dicono che i bambini che dormono con i genitori richiedono di essere allattati di più rispetto a quelli che dormono da soli. Il che significa, probabilmente, che dormire a contatto porti il piccolo a richiedere di essere allattato ogni volta che necessita di riprendere sonno. I bambini, specie superata una certa età (in genere 4 mesi), compiono chiare associazioni con il sonno. Ed in questo caso l’associazione sarebbe tra sonno e allattamento.
• Sono d’accordo con questi autori quando sostengono che il desiderio di un bambino, specie più grandicello, di dormire con il genitore non è un “capriccio”, quanto più la richiesta di soddisfare un bisogno di contatto e di vicinanza. Ascoltare i bisogni dei nostri cuccioli è fondamentale, quanto cercare di rispondere ad essi nel modo migliore possibile, considerando e rispettando le necessità di tutta la famiglia.
• In ultimo vorrei tranquillizzare i genitori che si sono ritrovati a dormire con i propri figli pur non partendo da questa decisione. Si può trattare di una fase, di un momento, di una situazione magari temporanea che quando lo si terrà opportuno potrà sempre cambiare. In fondo sono moltissimi i bambini che in alcuni periodi della loro crescita dormono insieme ai genitori, ma sono pochissimi quelli che poi rimangono nel lettone per “sempre”!


Bibliografia Bortolotti A., I cuccioli non dormono da soli, Mondadori
Gonzales C., Besame Mucho, Coleman
McKenna J., Di notte con tuo figlio, Il Leone Verde
Sears W., Genitori di giorno…e di notte, Macrolibrarsi